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Categoria: Badia
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In questa pagina abbiamo raccolto gli articoli sulla storia della Badia di Tiglieto, redatti da Emilia Vassallo e pubblicati a puntate sul periodico della Biblioteca di Tiglieto: IL FOGLIO

Il monastero di Santa Maria e Santa Croce di Tiglieto dalle origini all'avvento della Famiglia Raggi 
Emilia Vassallo

L' abbazia di Santa Maria e Santa Croce di Tiglieto è ubicata nell'entroterra genovese, a poca distanza da Sassello. La bellezza del paesaggio che circonda il monastero stupisce ed affascina ancora oggi il visitatore. Giungendo in questa valle, non ancora rovinata da interventi indiscriminati dell'uomo, sembra di immergersi in una dimensione senza tempo e di "respirare" quella pace, fonte di raccoglimento e ascesa verso Dio, fondamentale per la vita monastica. Per tutti gli abitanti della zona l'intero complesso architettonico viene denominato Badia e costituisce da sempre un punto di riferimento religioso, culturale e affettivo. Chiunque si avvicini alla piana non può rimanere immune dal fascino che Badia esercita a prima vista. Si intuisce immediatamente l'antichità degli edifici sui quali ogni secolo ha lasciato una traccia, ma anche una certa aura di mistero. Non si è conservata, infatti, la carta di fondazione del monastero indicante data e fondatore. Tuttavia da documenti successivi si evince che i fondatori provenivano dalla famiglia marchionale di ceppo aleramico. In un atto datato al 1222, per esempio, si indica tra i fondatori di Tiglieto il marchese Anselmo del Bosco, capostipite della diramazione del gruppo aleramico detto appunto "del Bosco"; questo gruppo famigliare a più riprese compirà numerose donazioni a favore dell'abbazia spinto da sincera fede religiosa, ma anche da un chiaro desiderio di controllare in modo indiretto la zona e nel contempo di evitare il frazionamento dei propri beni. La dedicazione dell'abbazia di Tiglieto a Maria e alla Croce richiama immediatamente il suo legame con l'Ordine cistercense sorto in Francia nel 1098 e particolarmente attento all'umanità di Cristo (in particolare alla Croce, simbolo della Redenzione) e devoto alla Vergine Maria. Tale ordine religioso prende il nome da Citeaux, luogo in cui venne costruito il primo monastero, e riflette un modo radicalmente nuovo di vivere la vita monastica cristiana in polemica con la generale corruzione in cui versavano numerose abbazie dell'epoca; i monaci cistercensi, detti anche dal colore del loro abito "monaci bianchi", accentuano nella loro regola l'allontanamento dal mondo, la povertà, l'ascetismo austero, il lavoro manuale affiancati ovviamente dalla liturgia, lettura spirituale, meditazione e preghiera: il tutto seguendo la stretta osservanza della precedente Regola di San Benedetto. Il movimento monastico, nonostante alcune iniziali difficoltà, verrà approvato nel 1119 da papa Callisto III. E da questo momento avrà per tutto il secolo XII e quello successivo un'espansione straordinaria grazie ad una serie di fondazioni attuate attraverso l'istituto della filiazione. Ciascuna comunità di monaci bianchi doveva essere indipendente e autosufficiente anche a livello economico, secondo un criterio di tipo federalistico e nello stesso tempo si richiedeva tassativamente di rispettare la Regola di San Benedetto e di assicurare l'uniformità della liturgia e degli usi. 


Come già detto, i documenti medievali relativi all'abbazia di Tiglieto non indicano nulla di preciso in merito alla data di fondazione, è la prima volta che si indica l'abbazia di Tiglieto come appartenente all'Ordine cistercense risale al 1131. Tuttavia la tradizione erudita dell'Ordine cistercense indica concordemente come data di fondazione il 18 ottobre del 1120 e quindi, in assenza di prove contrarie, non c'è motivo di dubitare di tale cronologia. Ciò tuttavia, non esclude l'eventualità che già in precedenza esistesse una fondazione religiosa - di cui non è rimasta traccia nei documenti - in seguito scomparsa o ricostruita a partire dal 1120 dai monaci cistercensi. Del resto al di sotto dell'attuale pavimento del piano terra nel palazzo di Badia sono state reperite tracce di un muro databile tra il VII e IX secolo, prova archeologica che già in epoca altomedievale a Tiglieto sorgeva un fabbricato: purtroppo i resti murari sono troppo esigui per capire che tipo di costruzione fosse.

(Fine del primo brano pubblicato sul numero 1 del 2000)

Il monastero di Santa Maria di Tiglieto detiene pertanto significativi primati: è la prima fondazione cistercense esterna alla terra di Borgogna (regione in cui sorse l'Ordine), la prima al di fuori della Francia e laprima in Italia.
I primi monaci che giunsero a Tiglieto provenivano dalla abbazia borgognona di La Ferté, a guidarli. All'epoca presumibilmente la zona si presentava la zona si presentava come una piana disabitata, circondata da fitti boschi, isolata dalle montagne retrostanti e, per la vicinanza del fiume Orba, alquanto paludosa. Tutti questi elementi ben s'accordano con l'esigenza di solitudine e con la necessità di autosufficienza della comunità. Nel contempo, tuttavia, la comunità non distava da importanti vie di comunicazione, che la collegavano anche a centri urbani di notevole importanza quali Savona e Genova.
I monaci, in tal modo, potevano vivere separati dal mondo, ma non isolati e ciò in linea con lo stile dei Cistercensi, che, pur coltivando l'amore per il deserto, alimentavano "l'ideale della presenza nel vivo della società rurale e contadina".
Il più antico documento dell'abbazia di Tiglieto a noi noto risale al 1127: Guido marchese di Gavi, appartenente al potente gruppo familiare degli Obertenghi, concede a Gerardo, abate di Tiglieto i diritti d'uso sul bosco di Rovereto (probabilmente luogo vicino a Alessandria a nord di Bosco). L'arro risulta di estrema importanza in quanto attesta che il monastero di Tiglieto era già stato fondato e posto sotto la guida di un abate. La zona circostante la piana di Tiglieto risulta proprietà e ricade nella giurisdizione aleramica, tuttavia i marchesi obertenghi dimostrano gran liberalità nei confronti del cenobio, in considerazione della sua posizione strategica, vicina al fiume Orba, al confine tra i possedimenti aleramici e quelli obertenghi.
Anche gli altri signori della zona sono particolarmente generosi nei confronti dell'abbazia: si susseguono, nel giro di pochi anni, numerose donazioni di terre incolte, ma anche di terra arabile, di vigne, di mulini e di immense distese di boschi, in particolare di castagni. A distanza di circa una sessantina di anni dalla fondazione, Tiglieto si trova a disporre di un complesso di beni terrieri che dal basso Piemonte, attravreso la valle del fiume Orba, giungono sino al Mar Ligure. Ovviamente non si tratta di una distesa ininterrotta di terre e i puni di maggior importanza sono situati - oltre alle terre circostanti l'abbazia - a Molare, Cassinelle, Cremolino, Ovada, Castelvero, Castelletto d'Orba, Capriata, Bosco e Frugarolo; alcuni terreni appartenenti ai monaci sono lungo la Val Bormida (Castellazzo Bormida) e nella zona intorno ad Alessandria. Nel versante di Savona, inoltre, i monaci risultano gestire proprietà sulle alture di Arenzano, Varazze e Stella. Gran parte di queste risalgono a donazioni, ma non mancano acquisti o permute compiuti dai monaci stessi per rendere più continuo possibile il patrimonio terriero. Indubbiamente l'abbazia di Tiglieto presenta, fin dagli esordi, una notevole vitalità e per tutelare la ricchezza spirituale e materiale dei nostri monaci intervengono ben presto le due più grandi potenze dell'epoca: il papa e l'imperatore che a più riprese ribadiscono la legittimità delle proprietà del monastero di Tiglieto e lo pongono sotto la loro protezione.

(Fine del secondo brano pubblicato sul numero 2 del 2000)

Ma come vivevano i monaci e i conversi di Tiglieto e come era costituita la comunità? Come solitamente si verifica, i documenti medievali di Tiglieto non descrivono la vita quotidiana e tanto meno quella spirituale della comunità; maggiori indicazioni, ovviamente, si ottengono per ciò che riguarda l’aspetto economico-patrimoniale dell’abbazia.
La comunità di Tiglieto, secondo la prassi cistercense, gestisce direttamente il proprio patrimonio. Nella maggioranza dei casi le terre possedute dai monaci non costituiscono terreno vergine e la tendenza è quella di conservare le colture precedenti, migliorandone la produttività e offrendo lavoro stagionale retribuito alla popolazione locale. Lungo tutto il percorso dell’Orba si costituiscono, nel corso del tempo, numerose grange, vere e proprie aziende rurali. Nelle grange soggiornavano stagionalmente i conversi di Tiglieto che pianificavano e dirigevano le varie attività agricole. Purtroppo delle numerose grange dipendenti dal monastero di Tiglieto, tra cui una a Ortiglieto, non sono rimaste tracce consistenti che ci permettano di compierne uno studio architettonico. Nel corso del tempo, infatti, esse furono trasformate in case rurali, in dimore gentilizie o crollarono a causa dell’incuria.
A seconda del tipo di terreno i religiosi, aiutati da braccianti e collaboratori esterni, coltivano la vite, arano i campi, raccolgono il fieno. Raramente i documenti medievali di Tiglieto indicano con precisione i tipi di prodotti ricavati dai campi; poiché non si tratta di un territorio omogeneo, ma campi sparsi in un vasto territorio, indubbiamente i prodotti erano di vario genere; a titolo di esempio, da una sentenza del 1192 veniamo a sapere che le terre dell’Ospedale di Capriata, gestito dall’abbazia di Tiglieto, producevano frumento, segale, orzo, biade, lino, fieno e legumi vari.
Ma l’attività più sviluppata è quella dell’area silvo-pastorale. I religiosi di Tiglieto curano amorevolmente i boschi di castagno, raccolgono i frutti, producono farina di castagne, tagliano e raccolgono legna: parte delle merci viene utilizzata per uso interno, parte viene venduta alle comunità vicine fino a Genova. Altrettanta importanza riveste l’allevamento: data la varietà dei pascoli a disposizione dell’abbazia anche il tipo di bestiame è vario: capre, pecore, agnelli, buoi, mucche, ma anche montoni e poi una serie di animali da cortile come asini, uccelli, polli e maiali. Non manca l’allevamento delle api. Accanto ai religiosi troviamo, intenti ad accudire gli armenti, pastori e mandriani della zona che, in cambio, ricevono parte del bestiame e legna. Senza dubbio i religiosi che abitavano nell’abbazia di Tiglieto non potevano far fronte a tutte le attività pastorali senza l’aiuto di manodopera esterna: infatti da un documento del 1227 risulta che l’abbazia, nella grangia di Bosco aveva un gregge costituito da ben 1170 pecore! In questa occasione i pastori alle dipendenze dei monaci vennero accusati dai contadini del comune di Alessandria di far pascolare abusivamente l’immenso gregge in territori vicini alla città. Inizia una lunga causa che poi si concluderà a favore del monastero.

(Fine del terzo brano pubblicato sul numero 3 del 2000)

In alcuni casi, grazie alle capacità tecniche in campo idraulico dei cistercensi, la comunità di Tiglieto bonifica aree paludose che poi mette a coltura. Indubbiamente anche la, gestione delle acque costituisce un settore di primaria i mportanza per i nostri monaci: canali e fosse segnano i confini dei loro campi e permettono una razionale irrigaz ione dei campi. Buona fonte di reddito è rappresentata d all’uso e gestione dei mulini; nel 1187 l’imperatore Enrico VI conferma il diritto d’uso delle acque collocate n ei territori di proprietà monastica per qualsiasi necessità e attività... e i monaci sfruttano intelligentemente tale prerogativa: si dedicano alla pesca d’acqua dolce (e non a caso nell’abbazia fu costruita una capiente neviera e probabilmente anche un apposito vano per la conserva e lavorazione del pesce), riscuotono dazi sull’uso dei mulini, sul setacciamento delle sabbie del fiume d’Orba per la raccolta dell’oro e sull’utilizzo in genere delle acque. La maggior parte dei mulini non vengono costruiti dai monaci, ma a loro donati da ricchi signori, tuttavia in un caso troviamo i religiosi di Tiglieto intenti a progettare un mulino per la lavorazione dei panni. 
L a potenza economica dell’abbazia di Santa Maria di Tiglieto è accompagnata da una significativa vitalità spirituale. Generale è la stima e l’ammirazione di cui godono i monaci di Tiglieto. Spesso li troviamo impegnati a collaborare con le istituzioni religiose e civili. Non a caso più volte i papi affidano loro mansioni di grande importanza e delicatezza: i religiosi di Tiglieto svolgono spesso, per conto del papa, funzioni di giudici, pacieri, controllori ed esecutori di compiti amministrativi. Nel 1218 – a titolo di esempio - ricevono da papa Onorio III la facoltà di assolvere dalla scomunica tutti gli abitanti di Alessandria, scomun ica inflitta in precedenza per le simpatie a favore dell'imperatore Ottone IV e a danno del papa palesate dalla popolazione.
Altre volte i religiosi di Badia sono nominati giudici in questioni ecclesiastiche genovesi, in particolare relative al la Cattedrale di San Lorenzo. 
L' intervento di Tiglieto viene richiesto anche dal Capitolo Generale di Citeaux per la risoluzione di problemi inerenti monasteri cistercensi del nord Italia, quali risolvere contese di carattere patrimoniale, territoriale o decidere l'opportunità di fondare o meno un nuovo monastero. Inoltre spesso viene affidato all’abate di Tiglieto il compito di controllare visitare periodicamente i monasteri cistercensi femminili: mansione assai impegnativa e perciò poco gradita ai nostri monaci. 
Es si, comunque, si mostrarono sempre all’altezza dei compi ti affidati: equilibrati, neutrali, aggiornati e attenti ai problemi locali. E per questi motivi lo stesso comune di Genova chiede più volte l’intervento di Tiglieto in questioni di somma importanza: nel 1208 l’abate di Tiglieto fa parte degli arbitri della pace tra Genova e Pisa. In altre occasioni i nostri monaci sono presenti in qualità di autore voli mediatori, custodi o garanti del comune genuense. Scarsi, invece, sono i rapporti commerciali tra Genova Tiglieto, nonostante il monastero risulti possedere alcuni immobili nella città, tra cui una casa, in comproprietà con altri enti ecclesiastici, sita a Soziglia. Comunque un segno del rispetto e della devozione dei genovesi nei confronti dei monaci cistercensi si evince anche dal fatto che nel 1265 il Comune di Genova concede al monastero d Tiglieto di acquistare e vendere, senza pagare alcuna tassa una discreta quantità di merci tra cui olio, sale, formaggi e grasso per le ruote dei carri. Tale privilegio viene confermato anche negli anni successivi ... e allora, come oggi uno sgravio fiscale non era favore da poco. 
Anche il Comune di Pavia, città ricca di monasteri cistercensi, concede nel 1273 salvaguardia al monastero e a tutte le sue dipendenze. 
La comunità religiosa di Tiglieto cerca anche di mantener un atteggiamento di neutralità nelle lotte del XII e XIII secolo tra papato e impero. E questo significherà chiedere e ottenere dagli imperatori riconoscimento, protezione e immunità fiscali. Tra il 1187 e il 1311, in seguito alle richieste dell’abate di Tiglieto, ben quattro imperatori (Enrico VI, Ottone IV, Federico II, Arrigo VII) accordano la loro protezione sull’abbazia. Tuttavia, mentre i papi intervenuti a favore di Tiglieto nutrono una sincera preoccupazione per la prosperità materiale e spirituale della comunità, al contrario gli imperatori accordano un distaccato appoggio e solo in seguito alle pressanti richieste degli abati di Tiglieto. 
Nonostante gli autorevoli appoggi e la prosperità, dell’abbazia di Tiglieto, attestata per tutto il secolo XII parte del XIII, i monaci attraversarono anche momenti di tensione, grande difficoltà e crisi. I pericoli della vita di tutti i giorni non risparmiarono neppure l’abbazia e ne rimane un’eco nei documenti in nostro possesso. Per esempio nel 1186 papa Urbano III scende in campo a favore di Tiglieto e proibisce a chiunque, pena la scomunica, di reca re danno agli abitanti del monastero e delle grange; venia mo a sapere, così, che negli anni precedenti era successo di tutto a danno dei poveri monaci e dei loro dipendenti: furti, rapine, violenze, incendi dolosi e persino uccisioni! Del resto Badia si trovava in una zona fortunata dal punto di vista strategico e delle comunicazioni: quindi eserciti, trup pe e gruppi di malavitosi passavano nella vallata e senza alcuno scrupolo danneggiavano beni e persone. 
Nonostante l’intervento del papa, la situazione si ripeterà altre volte, per quanto dopo il 1184 per alcuni anni la comunità monastica sembri godere di una certa tranquillità. Il progressivo aumento dei beni del monastero e la posizione di primo piano, da questo raggiunta dal punto di vista economico, talvolta urtano contro gli interessi di organismi politico-sociali, quali quelle delle comunità circostanti che si stavano organizzando in Comuni autonomi. 
Sono documentate numerose cause fra il monastero di Tiglieto e i comuni dei dintorni: si tratta di liti simili a quelle di caseggiato relative a problemi di confine, di uso delle acque, dei pascoli e dei boschi. Per citarne alcune, ricordiamo quelle con tro i comuni di Savona, di Alessandria, di Capriata d’Orba, di Arenzano e di Albissola. Inoltre nel 1260 si accende una violenta contesa per lo sfruttamento di un bosco fra uomini di Rossiglione che all’epoca non era ancora un comune, e l’abba zia di Tiglieto. Date le proprietà legate alla grangia di Castelvero, il monastero è ostacolato dai castel lani di Gavi al punto che nel 1262 interviene, per riportare la calma, il marchese Oberto Pelavicini, signore di Tortona. 
In tutte le contese fino alla metà del XIII secolo è il monastero di Tiglieto a uscirne vittorioso; il che costituisce ulteriore prova della sua potenza. 
Sempre per tensioni di carattere economico sorgo no problemi tra i nostri monaci e alcuni istituti religiosi. Ad esempio, per più di dieci anni - agli inizi del Duecento - si trascina un’aspra lite per questioni di confine tra Tiglieto e i confratelli dell’abbazia cistercense di S. Andrea di Sestri ( che sorgeva in una zona tra Sestri Ponente e Cornigliano). 
Come si è visto, i documenti forniscono molte indicazioni di carattere economico-amministrati vo, ma certo non altrettanto sulla vita quotidiana e sulla spiritualità dei monaci bianchi che dimorava no a Tiglieto. Certamente il prestigio religioso, politico ed economico che contraddistingue buon parte della storia dell’abbazia si basa su un’organizzazione interna salda ed efficiente, ma anche su una forza spirituale e una fede capace di trasformare uno sconosciuto luogo paludoso in un centro spirituale di fama internazionale. Al piano terra dell’attuale palazzo Raggi esiste ancora oggi un vano - l’armarium - ove i monaci conservavano i documenti e i testi liturgici. L’ampiezza del locale e la grandezza delle nicchie utilizzate per deporvi il patrimonio scritto e miniato della comunità dimostrano come 1’aspetto liturgico fosse al centro delle attenzioni dei monaci. Anche le tracce dell’antica sacrestia cistercense – crollata nel XVII secolo, ma in origine costruita accanto alla chiesa - fanno pensare ad una disponibilità considerevole di arredi e codici liturgici, sintomo di un’intensificata pratica sacramentale.

(Fine del quarto brano pubblicato sul numero 4 del 2000)

Ma nonostante la prosperità di Badia, fino almeno alla metà del XIII secolo, i religiosi rispettarono il rigore spirituale delle origini improntato ad una scelta voluta e consapevole di povertà: man mano che la comunità cresceva dal punto di vista numerico fu necessario allungare la chiesa, tuttavia le sue strutture rimasero sempre semplici e essenziali, al contrario di ciò che avvenne in altri monasteri ove il lusso prese il sopravvento. I monaci scelsero, come materiale da costruzione, il mattone che potevano produrre direttamente nella loro fornace e pietre facilmente reperibili nel vicino fiume Orba. Riuscirono cosi, in regime di economia, a erigere un complesso architettonico funzionale e nel contempo decoroso; analoga scelta si fece nel 1150 circa quando, per carenze di spazio, fu necessario allungare la chiesa di Tiglieto: tutto ciò in coerenza con lo stile di vita cistercense che imponeva alle abbazie di vivere del proprio lavoro manuale, dell’agricoltura e dell’allevamento e di devolvere il superfluo all’esercizio della carità. Inoltre la Regola Cistercense vietava alle sue abbazie di accettare decime o somme di denaro di qualunque tipo e lo stretto attaccamento alla terra e la cura prodigata dai nostri monaci nella pastorizia sono da vedersi in quest’ottica. I monaci, distaccati da qualsiasi elemento di potere ecclesiastico o laico, cercavano di percorre il cammino interiore verso Dio sorretti da una immensa devozione nei confronti dell’umanità del Cristo, di Maria e accompagnati dalle funzioni e dalle preghiere quotidiane. La spiritualità, il rifiuto di funzioni estranee all’attività monastica e il sobrio stile di vita senza dubbio favorirono 1’affetto e la stima generale nei confronti dell’abbazia di Tiglieto. E non è certo un caso che alcuni personaggi di alto rango abbiano deciso di entrare a far parte della comunità o abbiano espressamente richiesto di essere seppelliti a Tiglieto.Nell’abbazia si conservano ancora i resti della tomba e della lapide funeraria di Isnardo Malaspina, signore di Cremolino, morto nel 1332. Altre lapidi conservate a Tiglieto indicano che, negli stessi anni, anche elementi: delle famiglie dei Chiabrera e Morbelli furono tumulate a Tiglieto.
Innumerevoli, poi, risultano le donazioni e gli interventi a favore dei monaci da parte di personaggi di grande spicco nel panorama politico del tempo; oltre a quanto già segnalato sopra, ricordiamo per esempio i marchesi di Romagnano, di Gavi, i Malaspina, del Vasto, del Carretto, d’Incisa, di Busca, di Ponzone, del Monferrato. Indubbiamente parte delle motivazioni che spinsero costoro ad appoggiare il monastero sono di natura politica, mai senza dubbio riflettono anche una sincera fede e profonda devozione. Ma ancora più significative sono le donazioni fatte dalla gente comune del luogo. Più volte troviamo persone che, pur non disponendo di grandi risorse economiche, spinti da una profonda devozione decidono di donare il superfluo di cui dispongono. Si tratta di piccoli lasciti di terra o di prodotti agricoli: come il caso di Ponzio Roberto che, prima di partire per un lungo pellegrinaggio a San Giacomo di Compostela, fa testamento e lascia parte delle proprietà a Tiglieto, oppure di Ulmanno che, sentendo prossima la morte, fa una piccola donazione di grano. Non manca nemmeno 1’elemento femminile: come tal Sibilia che nel testamento lascia anche una piccola parte delle sue terre ai monaci. Probabilmente la popolazione dei dintorni aveva contatti quotidiani con il monastero attraverso i conversi, che operavano per conto del monastero e riuscivano a guadagnarsi la fiducia e l’affetto dei laici. 
Ma vediamo un po’ più da vicino l’organizzazione interna dell’abbazia. 
Il grado più elevato della gerarchia corrisponde a quello di abate, al quale fa capo la vita spirituale e temporale della comunità. Da lui dipendono 1’amministrazione interna ed esterna del monastero e perciò Tiglieto, per mezzo suo, tratta con le più alte autorità. Egli richiede interventi di papi e imperatori, tratta con nobili e Comuni, presiede a delegazioni di pace, a stesura di atti sia concernenti la comunità che altre comunità, riceve incarichi speciali dai papi o riveste particolari funzioni di visitatore di al comunità religiose. A Tiglieto operano abati di grande levatura spirituale e di indubbie capacità organizzative Basti pensare a colui che presumibilmente nel 1120 guidò il primo gruppo di monaci cistercensi dall’abbazia de La Ferté a Tiglieto: Pietro I. Egli negli anni precedenti era stato attivo nella fondazione delle prime abbazie cistercensi francesi tra cui Citeaux e La Ferté di cui venne anche abate. 
Da Tiglieto si allontana nel 1123 per dar vita all’abbazia piemontese di Lucedio e un anno dopo viene acclamato tra 1’entusiasmo popolare, vescovo di Tarantàsia, nella Francia sudorientale.

continua....

(Fine del quinto brano pubblicato sul numero 1 del 2001)

Altro abate di significativa importanza risulta Gerardo da Sesso, presente a Tiglieto tra il 1206 e il 1209. I papi Celestino III e Innocenzo III scelsero proprio lui per risolvere delicate questioni ecclesiastiche nel nord Italia; dopo essersi allontanato da Tiglieto, viene designato dal papa legato apostolico. Gerardo si mostra estremamente sensibile ai problemi della Chiesa del tempo, impegnato con tutte le sue forze a risolverli, acuto e attento nell'opera di riforma del clero.
Accanto all'abate, nelle carte medievali di Tiglieto, compare spesso un altro personaggio, il priore (prior), che sottoscrive, subito dopo l'abate, alcuni atti; in alcuni casi egli interviene come sostituto dell'abate in sua assenza.
Di grande utilità risulta anche il cellerario ("cellerarius")cui, secondo la regola di San Benedetto, è affidata l'amministrazione di tutti i beni temporali del monastero, una sorta di economo, dipendente però dall'abate. 
Altra figura emblematica è quella del grangerio ("grangerius"); egli opera nelle grange, ossia nelle aziende agricole di Tiglieto; sovrintende i lavori e si occupa della gestione economica delle grange, ma dipende dal cellerario. 
All'interno della comunità di Tiglieto troviamo altre figure specifiche quali quella del cantore e subcantore ("cantor" e "subcantor"), incaricati di curare e dirigere i canti durante e funzioni liturgiche. E' assai probabile che essi rivestissero anche la funzione di bibliotecari della comunità.
A Tiglieto vivevano, oltre i monaci, i conversi.
Nelle abbazie cistercensi la figura del converso è emblematica; si tratta di un religioso che, pur non pronunciando i voti monastici, viveva presso l'abbazia, seguiva, se pur separato dai monaci veri e propri, le funzioni religiose e metteva a disposizione dei confratelli il proprio lavoro. Solitamente i conversi lavoravano i campi, si occupavano della gestione delle aziende agricole possedute dall'abbazia, avevano rapporti di tipo commerciale con i laici. Il ruolo di tali "fratelli", detti barbuti perché al contrario dei monaci veri e propri non si rasavano, contribuì notevolmente al grande successo dell'ordine cistercense in campo agricolo e in generale in campo economico.
Fino a pochi decenni fa era luogo comune sostenere che i conversi, nell'ambito delle abbazie cistercensi, svolgevano esclusivamente i lavori più umili, una sorta di bassa manovalanza non pagata e sfruttata dai monaci senza ritegno. Lo studio analitico dei documenti ha sfatato questo mito e Tiglieto ne costituisce una prova ulteriore. A Badia i conversi risultano svolgere molteplici funzioni e spesso di notevole responsabilità. Talvolta essi maturavano una vocazione religiosa molto avanti negli anni, magari rimasti vedovi e dopo aver cresciuto tutti i figli: è il caso di frate Guglielmo di Molare che entra come converso a Tiglieto ma prima si occupa di sistemare il figlio collocandolo come apprendista presso il calzolaio Enrico di Spigno. Enrico riceve una ricompensa dal converso Guglielmo, ma in cambio si impegna a ospitare e insegnare al piccolo Giacomino l'arte del calzolaio e nel contempo a vigilare sulla sua condotta morale.
Quindi - poiché parte dei conversi, al contrario dei monaci, entravano da adulti nell'abbazia - essi avevano modo di mettere a disposizione le loro specifiche competenze acquisite in campo lavorativo negli anni precedenti.
Inoltre, poiché non erano tenuti a seguire tutte le funzioni religiose, potevano continuare a svolgere - almeno in parte - quella vita attiva a cui probabilmente non si sentivano di rinunciare. Solitamente sono loro a mantenere i rapporti quotidiani con la popolazione locale, a capire dove è più necessario intervenire con atti di carità; grazie a loro la gente comune poteva entrare in contatto con la spiritualità cistercense e ciò contribuì notevolmente al successo dell'Ordine cistercense in Liguria. A Tiglieto spesso li troviamo agire a nome dell'abbazia in qualità di rappresentanti e sindaci del monastero, come testimoni in atti di compravendita o con affini mansioni specifiche.

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(Fine del sesto brano pubblicato sul numero 2 del 2001)

Gruppo a parte a Tiglieto è costituito da uomini sposati e di una certa età che decidono di donare sé e tutti i loro beni all'abbazia, ottenendone in cambio assicurazione di vita tranquilla per gli anni futuri, una specie di via di mezzo tra lo stato religioso e quello laicale ( nei documenti si parla di redditi o renduti). L'incertezza dei tempi e della vecchiaia, ormai prossima, spingono molti verso il monastero, come tal Vassallo Belcesi, che nell'atto testamentario del 1162 lascia una parte dei beni al figlio ed una a Santa Maria di Tiglieto, ritirandosi a vita religiosa nella Badia. Ancora più interessante risulta la vicenda di tal Pietro Tealdo di Molare. Egli nel 1301 consegna sé e tutte le sue cose alla Badia (la casa in cui abita, alcuni terreni tra cui due vigne e una piccola somma di denaro); Pietro diviene fratello, reddito, familiare e devoto del monastero, tuttavia non entra in convento; preferisce continuare a vivere con la moglie Alasina, ma in cambio il monastero si impegna a concedergli in usufrutto la casa di Molare in cui già vivevano i coniugi; inoltre i monaci garantiscono di fornire ogni anno vitto e vestiario necessario per i due. Dall'elenco dei prodotti forniti dall'abbazia annualmente possiamo farci un'idea del regime alimentare, nel Medioevo, di una coppia di agricoltori locali non più giovani; nell'arco di un anno i monaci si impegnano a consegnare a Pietro direttamente nella casa di Molare 12 moggia di grano, 32 barili di vino, 1 moggio di castagne bianche, 5 lire in moneta di Asti per gli abiti, 1 porco di robusta costituzione, 2 staia di ceci, 1 staio di fave, 2 staia di sale, 3 libbre di olio di oliva, 2 forme di formaggio grasso, 4 paia di calzature (non sandali, ma scarpe chiuse più adatte ai climi freddi), 4 carri di legna. Gli accordi sono molto precisi: se per caso morirà Agnesina, il vedovo percepirà solo la metà di quanto pattuito; tuttavia nel caso in cui rimanga in vita Alasina le cose sono un po' diverse: innanzi tutto, date le minori esigenze alimentari di una donna rispetto a un uomo, verrà consegnato molto meno grano e 20 barili in meno di vino. Inoltre se per caso la vedova si risposerà dovrà abbandonare la casa di Molare. Questi casi indicano come il monastero di Tiglieto per gli abitanti delle vallate circostanti non fosse solo un punto di riferimento religioso, ma anche sociale: un luogo fidato a cui rivolgersi per mettersi al riparo dalle incertezze e tristezze della vecchiaia. 
Intorno all'abbazia e alle grange gravitavano, inoltre, tutta una serie di lavoratori agricoli. Papi e imperatori e potenti signori più volte accordano la loro protezione non solo ai monaci e ai conversi, ma anche ai loro dipendenti. Per esempio nel 1271 il Podestà di Acqui e il Marchese del Monferrato prendono sotto la loro tutela l'abbazia di Santa Maria di Tiglieto. In quest'occasione vengono indicati coloro che vivevano e gravitavano intorno al complesso monastico; si nominano i monaci, i conversi, i redditi, i devoti, i braccianti alle dipendenze dei monaci, i mandriani, i domestici, gli inservienti e tutti coloro che abitavano con loro. L'elenco ci fornisce la misura di quanto viva e popolata fosse Badia nel XIII secolo, anche se chiaramente veniva rispettata la zona della clausura in cui risiedevano esclusivamente i monaci. 
I documenti esaminati, pur permettendo di stabilire l'entità delle diverse cariche all'interno dell'abbazia, non ci consentono in genere di fissare il numero di monaci e conversi residenti stabilmente nel monastero. 
Solo in due occasioni ci viene fornito qualche dato più preciso. In un atto di vendita del 1223 la comunità risulta formata, oltre che dall'abate, da trentatré monaci, i cui nomi sono elencati. Le provenienze dei singoli sono varie: alcuni provengono da piccoli centri limitrofi - quali Sezzadio, Ovada, Alice - altri da città vere e proprie, quali Asti, Pavia, Piacenza.
Dall'elenco sono esclusi i conversi, che tuttavia erano sicuramente presenti in gran numero nel monastero. Si può pertanto immaginare che il numero di coloro che vivevano stabilmente nel monastero, alla metà circa del XIII secolo, sia superiore alle sessanta persone, senza contare tutti i dipendenti laici. Tuttavia già nel 1301 i monaci di Tiglieto risultano ridotti drasticamente al numero di undici, segno chiaro di decadenza del cenobio. Effettivamente i primi segnali di difficoltà da parte dei nostri monaci sono già ravvisabili a partire dalla seconda metà del Duecento. La comunità, sia di monaci che di conversi, tende lentamente a diminuire di numero, la manodopera scarseggia in quanto molti contadini si sono spostati verso le città o grossi paesi, che attiravano folle di persone dalla campagna. La Chiesa stessa tende ad appoggiare nuovi ordini religiosi attivi all'interno delle città come gli Ordini Mendicanti, a danno dei Cistercensi che operavano principalmente in ambito rurale. Con il passare degli anni i religiosi di Tiglieto non riescono più a gestire direttamente le loro proprietà; sono costretti a venderle o ad affittarle, causando in tal modo una consistente diminuzione delle entrate. Il prestigio dell'abbazia diminuisce e parallelamente aumentano i soprusi da parte dei potenti vicini; non vengono più rispettate le sue proprietà e i suoi diritti. Le autorità ecclesiastiche intervengono ripetutamente a favore del monastero, ma spesso le richieste cadono inascoltate. 
Anche le forze laiche intervengono nel tentativo di proteggere il monastero ed arginare la sua decadenza. Gli stessi marchesi del Bosco per arginare i soprusi già nel 1264 confermano privilegi e protezioni concesse dai loro antenati. A distanza di poco tempo, il podestà di Acqui e il marchese del Monferrato prendono sotto la propria protezione il monastero e dopo due anni simile salvaguardia è conferita dal comune di Pavia. Gli abati di Tiglieto con una frequenza progressivamente maggiore chiedono disperatamente aiuti e protezione a papi, imperatori e potenti, chiaro segno che ormai l'abbazia di Santa Maria di Tiglieto non è più in grado da sola di farsi rispettare.
Le maggiori potenze del tempo esaudiscono le pressanti richieste degli abati, ma non sembrano più molto interessate alle sorti del nostro monastero. 
La situazione diviene tragica a partire dalla metà del XIV secolo. Benedetto XII nel 1341, infatti, si rivolge al monastero di Santa Marta di Genova perché restituisca ai Cistercensi di Tiglieto alcune sue proprietà indebitamente tolte da persone dall'identità sconosciuta. 
Le fonti documentarie relative all'abbazia di Santa Maria e Santa Croce di Tiglieto si fanno sempre più sporadiche a partire dalla metà del XIV secolo. Un'inesauribile serie di controversie, cessioni, locazioni e prestiti coinvolgono il monastero ... e le difficoltà aumentano progressivamente con il passare del tempo. 
Nel 1142 l'abate caccia dal monastero, per motivi non del tutto chiari, i religiosi Luchino Spinola ed Antonio Napello. Essi divengono girovaghi e provocano gravi scandali nella regione. Le famiglie dei due religiosi, di nobile e potente casata, chiedono l'intervento dell'abate di Santa Maria dello Zerbino, il quale riesce, rivolgendosi al procuratore generale dell'Ordine, a far revocare la loro scomunica e ottiene il permesso che costoro passino ad altro ordine. Non soddisfatti della decisione, le due famiglie si appellano al papa Eugenio IV. Appare chiara la situazione di totale decadenza morale e religiosa in cui versa l'abbazia. 
La fine è ormai prossima e nell'ottobre del 1442 il monaco Giovanni di Francia raduna nel chiostro la comunità religiosa di Tiglieto; di fronte ad essa Matteo Fieschi, conte di Lavagna, legge la lettera del papa Eugenio IV in cui si dichiara che l'Abbazia di Santa Maria di Tiglieto viene convertita in commenda. 
L'istituzione della commenda consiste nella concessione delle rendite spettanti a un'abbazia in chiare difficoltà economiche a un religioso o a un laico scelto dal papa, solitamente estraneo all'ambiente locale; colui che riceve la commenda si occupa della gestione amministativo-patrimoniale dell'istituto religioso.
Eugenio IV designa, quale abate commendatario di Tiglieto, il cardinale Giorgio Fieschi già arcivescovo di Genova e fratello di Matteo. Matteo Fieschi, in qualità di procuratore prescelto dal cardinale Giorgio, prende possesso del monastero e delle sue dipendenze con relativi diritti. Il regime della commenda non comporta la fine dell'abbazia e non significa che i monaci si debbano allontanare dalla loro sede, tuttavia dai documenti Tiglieto risulta ben presto disabitata: rimangono solo l'abate commendatario e i suoi familiari che periodicamente soggiornano a Badia.

continua....

(Ad oggi ultimo brano pubblicato sul numero 3 del 2001)

Cosa sia accaduto allo sparuto gruppo di monaci cistercensi di Tiglieto non è dato saperlo, forse si trasferirono in un altro monastero della zona o forse la comunità si estinse naturalmente. Insomma uscirono dalla scena un po' misteriosamente, proprio come vi erano entrati agli inizi del XII secolo. I documenti ci informano invece delle reazioni del mondo laico. 
La decisione di papa Eugenio IV non viene accettata passivamente dalle varie famiglie marchionali che da sempre hanno interessi nella zona, ne dalla popolazione locale; probabilmente l'affetto della gente nei confronti dei Cistercensi era ancora vivo e inoltre si temono nuove imposizioni da parte dei conti Fieschi. In particolare i marchesi Malaspina ed Adorno e le comunità di Capriata e Sassello impediscono con la violenza ai procuratori e coloni del cardinale Giorgio di raccogliere le decime relative ai suoi possedimenti; Eugenio IV, per sanare la situazione, fa intervenire il vescovo di Tortona e fa pubblicare severo monito contro i soggetti ribelli. La situazione è talmente tesa che il monitorio del papa viene affisso in territorio neutrale, ossia nella chiesa di Sant'Evasio a Voltri, perché nessuno ha il coraggio di avvicinarsi a Badia. Questo provvedimento è del tutto inutile, cosi come privo di effetto risulta il successivo monito papale del 1444, reso pubblico da Simone Della Valle, cappellano di Eugenio IV. 
La tecnica dell'ostruzionismo ad oltranza da parte della popolazione porta all'esasperazione il cardinale Giorgio Fieschi che, alla fine, decide di riconsegnare il tutto nelle mani dei papa. Eugenio IV nel 1447 affida la Commenda all'abate Giovanni Bisaccia. Egli non è di nobile casata, ma è conosciuto e stimato dalla popolazione locale perciò riesce ad esercitarvi la giurisdizione e anzi a riacquistare alcuni diritti e possessi, persi nel corso del tempo dal cenobio. Nel 1451, per motivi a noi del tutto sconosciuti, il Bisaccia viene scomunicato. La scomunica, secondo molti, è conseguente all'intervento dei Fieschi, che probabilmente non hanno abbandonato le speranze di reinsediarsi nella zona.
Da questo momento i documenti relativi all'abbazia citano un triste susseguirsi di abati commendatari e di loro procuratori. In generale assistiamo al tentativo da parte delle varie comunità religiose (specie femminili), un tempo dipendenti dall'abbazia del Tiglieto, di sottrarsi alla sua giurisdizione. Gli abati commendatari intraprendono continue cause affinché siano versate quote di denaro e rispettati i diritti di cui gode ancora l'abbazia di Tiglieto. Ma l'impresa appare sempre più ardua, sintomo ormai di totale declino del suo potere. Oltretutto gran parte degli abati commendatari finiscono per disinteressarsi completamente di Tiglieto e seguire altre proprietà più redditizie. Nel frattempo anche le guerre portano morte e disperazione a Tiglieto. 
Nel luglio del 1583 i soldati del Duca dì Mantova, in lotta con la comunità di Sassello per una questione di confini, rompono la porta della chiesa, saccheggiando l'abbazia. Noncuranti della minaccia di scomunica dell'abate Bianchetti, i soldati del Duca vi fabbricano un fortino, che viene espugnato solo dopo tre giorni di serrato assedio da parte delle forze dei Doria e dei signori di Sassello affiancate da un contingente genovese.
Sotto l'abate commendatario Muzio Pinelli la chiesa è eretta in parrocchia nell'anno 1635; ma a causa di una gestione poco opportuna, il papa Innocenze X annulla il titolo di abate commendatario al Pinelli per conferirlo al cardinale Lorenzo Raggi, reputato più adatto a sollevare le sorti di Badia. Probabilmente le floride condizioni economiche di Lorenzo Raggi costituiscono una garanzia sicura per il papa. Infatti il cardinale Lorenzo si impegna, al momento della nomina, di apportare migliorie immediate alla Chiesa di Santa Maria di Ti glielo e alle sue dipendenze.
II 24 gennaio 1648, con Breve Apostolico, Lorenzo ottiene il permesso di cedere Badia in enfiteusi perpetua alla propria famiglia. L'enfiteusi consiste nella concessione di un fondo con l'obbligo di migliorarlo e di pagare un canone annuo in denaro o derrate. Nel caso di Tiglieto il canone annuo stabilito è in denaro e nel 1652 viene ufficialmente investito della carica di enfìteuta Giovan Battista Raggi, fratello del Cardinale Lorenzo.
Da questo momento fino ai giorni nostri la famiglia Raggi, poi Salvago-Raggi, entrando regolarmente in possesso dell'abbazia e delle sue dipendenze, si interesserà con spirito imprenditoriale all'intero complesso, migliorando la situazione non solo di Badia, ma anche del territorio circostante, con indubbi vantaggi per la popolazione della zona e la sua economia.

NOTE: Gran parte dei documenti compresi tra il 1127 e il 1341 a cui si fa riferimento nell'articolo sono pubblicati in: P. Guasco Di Bisio - F. Gabotto - A. Pesce, Carte inedite e sparse del Monastero di Tiglieto (1127-1341), Torino 1923. 
Per un quadro storico completo ed approfondito in merito a Tiglieto e ai monasteri cistercensi femminili e maschili in Liguria si consiglia la lettura del recente contributo di V. Polonio, I Cistercensi in Liguria. (Secoli XII-XIII), in Monasteria Nova. Storia ed architettura dei Cistercensi. Secoli XII-XIV, a e. di C. Bozzo Dufour e A. Dagnino, Genova 1998, pp. 3-79.

Ultimo brano pubblicato sul numero 1 del 2002)